L’inverno del 1944 è una stagione terribile. Il freddo si aggiunge a una situazione già insostenibile, in quanto ormai da mesi la guerra civile è esplosa in tutta la sua drammaticità. A Genova in modo particolare: i partigiani sono sempre più attivi in città, con attentati alle forze di occupazione naziste coadiuvate dai militari fascisti della Repubblica di Salò. La conseguenza è una serie di sanguinose rappresaglie nei confronti di decine di giovani detenuti a Marassi e giustiziati senza alcun processo, solo per vendetta. L’atmosfera è di grande tensione già in ottobre, per l’esplosione della collina di San Benigno, il promontorio alle spalle della Lanterna che separava il centro di Genova da Sampierdarena e dal ponente della città. In parte è già stato sbancato in parte per facilitare il traffico, dopo l’apertura dell’autostrada per Milano, ma ospita ancora una gran quantità di gallerie, utilizzate dalla popolazione anche come rifugio durante i bombardamenti aerei. I tunnel portano i treni direttamente alle banchine del porto: permettono di caricare le merci, provenienti dal triangolo industriale, sulle navi destinate a rifornire la flotta nel Mediterraneo con pochi rischi di essere intercettati. Ma nel sotterraneo c’è anche la santabarbara dell’esercito tedesco: tonnellate e tonnellate di bombe, esplosivo, tritolo, armi pesanti e leggere che, saltando in aria, sventrano la collina. La causa dell’esplosione è quasi certamente un fulmine caduto nel corso di un violentissimo temporale, ma è facile per il comando nazifascista far ricadere sui partigiani la colpa delle duemila vittime che l’esplosione provoca, esacerbando ancor di più gli animi.
A queste difficoltà si aggiungono quelle quotidiane per il sostentamento alimentare: ormai anche fare la spesa è diventato sempre più complicato. Tutti i generi di prima necessità sono razionati e l’unico modo di integrare la misera dieta giornaliera è ricorrere alla borsa nera. Già dal primo anno di guerra è stata introdotta la tessera annonaria per la distribuzione ridotta di prodotti essenziali come olio, burro, pasta e riso. Ma le razioni garantite dalle tessere sono davvero scarse, e appena sufficienti a garantire la sopravvivenza. In questa situazione, commercianti e contrabbandieri senza scrupoli vendono generi di prima necessità a prezzi esorbitanti e per molte persone inaccessibili: chi può vende il poco oro che ha o il corredo delle nozze, pur di nutrire almeno i bambini. E chi è sorpreso a vendere o a comprare rischia pene severissime. Per non parlare del riscaldamento. Il prezzo del poco carbone disponibile è troppo alto e allora tutti i mezzi sono buoni per cercare di riscaldare casa. Tra questi, quello che viene chiamato il carbone dei poveri: si mettono a macerare vecchi giornali in una tinozza piena d’acqua; si lascia lì il tutto e dopo un po’, quando la poltiglia è omogenea, si prendono manciate di carta e si strizzano il più possibile per metterle poi ad asciugare. Quando queste palle sbilenche sono secche, si buttano nella stufa e bruciano come il legno, lentamente, e sviluppano un buon calore.
Ma i giornali di regime, ovviamente gli unici che si possono pubblicare, si guardano bene dal segnalare queste difficoltà, per impedire che il morale, già a terra, convinca altri giovani a ribellarsi e ad entrare nelle formazioni partigiane. Addirittura pubblicano un invito che sembra una tragica presa in giro: ecco così la campagna «Più cozze per tutti», con la quale il regime pubblicizza la validità dei molluschi come nutrimento alternativo, invitando la popolazione a recarsi sulle scogliere a raccogliere mitili e patelle, ricchi di proteine. Che sarebbe come dire: «Non c’è più pane; brucate l’erba, che è ricca di vitamine». Mentre tutti sanno che ormai, per fare il minestrone si usano anche i baccelli dei legumi o le bucce delle patate, dopo averle ben lavate. Non si butta via neanche il grasso della carne o le interiora del pollo, che si conservano per cucinare sughi o altre cose, così come si conservano le croste del pane, ammesso che ne avanzi. In questo caos generale non mancano le inserzioni pubblicitarie di involontaria comicità, come il rossetto per labbra Brio e il dentifricio del Dottor Knapp, reclamizzati come indispensabili per l’igiene del dopo pasto. Peccato che, per molti, il pasto sia solo un miraggio.
E molti ricorrono alla fantasia per cercare di sopravvivere. È il caso del condominio della Foce che si è inventato la “Mata Hari dei poveri”, una giovane di origini trentine, alta, bella, bionda, occhi azzurri: sembra proprio una ragazza tedesca. Gli abitanti di un palazzo si sono tassati e le hanno comprato abiti lussuosi, due valigie da gran signora e addirittura un collo di pelliccia. In pratica, l’hanno trasformata in una donna di gran classe. Così vestita, con due valigie, la ragazza parte per il Trentino, dove riempie le due grandi valigie, con formaggi, salumi, pane e tutto ciò che può essere trasportato senza deteriorarsi. Poi torna a Genova e il cibo viene diviso nel gruppo. Si racconta che sia stata fermata all’arrivo solo una volta, ma lei ha mantenuto una calma da regina, indicando le valigie e mormorando: «Fate pure, ne parlerò con il mio caro amico», nominando uno dei responsabili della Gestapo in città… A quelle parole, la pattuglia l’avrebbe lasciata andare.
Ben più tragico il destino di coloro che vengono catturati nelle continue retate da parte dei nazifascisti: spesso a caso, i tram vengono bloccati dalle pattuglie armate e vengono fatti scendere tutti. Basta un minimo sospetto, o la semplice mancanza dei documenti per finire a Marassi, dove poi il prefetto Basile e il comando tedesco “pescano” a caso per le rappresaglie. Ancora peggio va ai sospettati di far parte delle bande armate: finiscono a quella Casa dello Studente inaugurata pochi anni prima per ospitare giovani universitari, ma destinata dal regime a vera e propria casa delle torture nei locali sotterranei che ora ospitano un museo dedicato. Meritano un ricordo a parte.