La lunga serie di bombardamenti aerei alleati che ha devastato Genova non ha certo risparmiato la Riviera di Levante. Con un molteplice obiettivo: quello di danneggiare i numerosi cantieri e le fabbriche presenti nei centri abitati più importanti, ma anche di ritardare il più possibile il ricongiungimento dell’esercito tedesco che stava risalendo verso nord dopo la liberazione di Roma. Senza contare la volontà di rendere sempre più difficile la vita quotidiana alla popolazione e spingerla quindi alla ribellione nei confronti del regime fascista e del suo alleato invasore. E questo era proprio lo scopo dei cosiddetti bombardamenti a tappeto, quei “carpet bombing” che hanno devastato le nostre città, distruggendo ospedali, chiese, abitazioni civili. Se appartengono alla prima categoria le piogge di bombe fatte cadere sui cantieri navali di Riva Trigoso e il porto di Sestri Levante, i tentativi di abbattere i ponti della ferrovia di Recco e quello di Zoagli possono essere catalogati fra quelli destinati a danneggiare soprattutto le infrastrutture. Più difficile dare una spiegazione militare ai raid che hanno colpito Chiavari, Rapallo, Santa Margherita Ligure, Moneglia e tanti altri centri minori, che hanno gettato milioni di civili nella disperazione.
Per ricordare tutto, ora c’è qualcosa che ci riporta indietro di decenni: una “mappa” della Resistenza che racconta come vent’anni di una sanguinosa dittatura siano sfociati nella guerra e nella lotta di Liberazione. Uno strumento a portata di tutti per segnalare decine di luoghi della Memoria nel Levante genovese. Lapidi, segnalazioni di episodi avvenuti dei quali non si vuol perdere il ricordo, l’indicazione di campi di concentramento. Un lavoro apprezzato da oltre trentamila visualizzazioni su Google Maps e ben ottomila visitatori del sito. Ideatore e realizzatore della Mappa digitale dei luoghi della Resistenza nel Tigullio è Matteo Brugnoli, capitano di Marina mercantile e consulente in ambito marittimo, con la passione per la ricerca storica nel periodo della Resistenza. Fondatore dell’Associazione Agorà di Lavagna, attualmente è presidente dell’Anpi delle sezioni di Lavagna e Valli Aveto-Sturla-Lavagna.
Come è venuta questa idea?
«Ho cominciato a realizzarla nell’estate del 2019, anche se da tempo avevo in mente di creare qualcosa per mettere assieme luoghi, lapidi e monumenti che raccontano quella che è stata l’unica rivoluzione civile che la Storia d’Italia abbia mai conosciuto. Ma soprattutto ho pensato che valesse la pena lavorare per uno strumento rendesse accessibile a tutti la conoscenza di quel periodo».
E come l’ha messa in pratica?
«Ho iniziato mettendo assieme i luoghi al centro delle vicende legate alla lotta di Resistenza, una storia affascinante fatta di eroi comuni, donne e uomini di ogni estrazione sociale, religione e credo politico. Lavoro nato dall’iniziativa di un singolo, che nel tempo si è trasformato in una ricerca collettiva in continuo aggiornamento. Col trascorrere dei mesi dalla prima pubblicazione online, appassionati di storia, escursionisti, blogger di outdoor trekking o semplici curiosi, hanno iniziato a collaborare allo sviluppo del progetto. Il tutto integrato dal prezioso lavoro di ricerca che negli anni è stato fatto dalle Sezioni A.N.P.I. e dagli storici locali. Spero che tutto questo possa aiutare a ricordare coloro grazie ai quali oggi noi possiamo vivere in libertà e democrazia. Chi volesse approfondire, può trovare tutto sul sito https://mapparesistenzatigullio.com/».
Ma c’è anche la storia di Vera Vassalle, viareggina di origine, che si unì alla Resistenza e nonostante fosse leggermente claudicante per una poliomielite, diventò un’importante pedina di coordinamento tra i partigiani e il comando alleato, attraversando l’Italia in lungo e in largo, fino a diventare, con il nome in codice di “Rosa”, coordinatrice via radio delle operazioni partigiane e alleate. Decorata con la medaglia d’oro al valor militare, nel dopoguerra Vera Vassalle insegnerà alla scuola elementare Edoardo Riboli di Lavagna e successivamente alla scuola elementare di Cavi, che le è stata intitolata dopo la sua morte.
E ancora la storia di Giovanni Battista Bobbio, sacerdote nato nel 1914 a Bologna, che nel 1939 fu nominato parroco di Valletti, poverissimo villaggio dell’Appennino spezzino. La zona, nel corso della Resistenza, fu sede del comando della brigata d’assalto Coduri Garibaldi, e lui fece da intermediario per portare reparti della Divisione alpina “Monterosa”, che presidiavano il passo di Velva e il litorale, ad accordarsi con i partigiani e a passare nelle file della Resistenza. Il nemico sapeva che il parroco era il cappellano della “Coduri”. Il 30 dicembre 1944 ci fu infatti un rastrellamento da parte dei nazifascisti per catturarlo, nel quale furono uccisi tre civili ritenuti legati ai partigiani. Intanto un reparto della Monterosa accerchiava una pattuglia di partigiani, uccidendone otto della Coduri e facendone prigionieri una trentina. Gli alpini incendiarono poi alcune case e quando fu evidente che Valletti sarebbe stata occupata, il sacerdote non cedette alle insistenze del Comando partigiano di mettersi in salvo. La canonica fu presa d’assalto come un fortino, devastata e data alle fiamme come gran parte del paese. Don Bobbio fu trascinato via, e il suo calvario continuò nella notte: durante una sosta lo tennero legato a un palo, nel turbine di una nevicata, per i sentieri che attraverso Comuneglia e Cassego portano a Santa Maria del Taro; poi in autocarro fino al carcere di Chiavari e, di lì, dopo due giorni di totale isolamento, al poligono di tiro: fucilato senza processo, il 3 gennaio 1945. Nei giardini di Chiavari c’è un busto che ricorda don Bobbio. Un’epigrafe del partigiano Giovanni Serbandini Bini ricorda: «Quando gli chiesero se voleva pregare prima di morire, rispose; “Io sono già a posto con la mia coscienza, ma pregherò per voi” e cadde a testimoniare, con serena fermezza cristiana e partigiana il valore di un’intesa salvatrice della patria e dell’umanità».