di Marco Francalanci.
Tra i suoi non invidiabili primati, Genova detiene anche quello di essere stata la prima città italiana a subire un bombardamento aereo all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Un primato che divide con Torino, che l’11 giugno 1940, il giorno successivo alla dichiarazione di guerra di Mussolini, portò alla prima “visita” dei bombardieri britannici. Un raid conclusosi con lievi danni, niente al confronto di quello che sarebbe successo più avanti. L’incubo delle bombe che piovono dal cielo durerà cinque anni, ma c’è un periodo, da metà ottobre a metà novembre 1942 che resterà incancellabile nella memoria di chi lo ha vissuto. Sono sei incursioni di “area bombing”, come gli inglesi chiamano i bombardamenti a tappeto: nessun bersaglio da colpire in particolare, ma un lancio indiscriminato di ordigni con spezzoni incendiari che colpiranno le fabbriche come gli ospedali, le basi militari come le scuole. Tra il 22 e il 23 ottobre, un centinaio di bombardieri della Raf sgancia 180 tonnellate di bombe sul centro cittadino.
Il terrore provocato anche dalle centinaia di incendi è tale che la sera successiva, quando suona l’allarme, il panico provoca la morte di quasi cinquecento persone nella Galleria delle Grazie, che si accalcano nel tunnel scavato a inizio secolo per collegare meglio il porto con le stazioni di Principe e Brignole. La galleria ha un’uscita all’altezza di Porta Soprana e quando scatta l’allarme tutti corrono verso la scala con più di cento gradini che porta al rifugio. Ma alcuni cadono e vengono travolti da chi li segue. Una strage. E pensare che l’incursione conseguente viene considerata un fallimento per il maltempo che non consente un lancio preciso di ordigni, tanto che alcuni bombardieri scambiano Savona per Genova. Qui comunque vengono colpiti, fra gli altri edifici, la chiesa dell’Annunziata e il teatro Paganini, in via Caffaro, che non sarà più ricostruito. Dopo la guerra l’accesso alla galleria delle Grazie viene chiuso, fino alla costruzione della metropolitana, che utilizza lo stesso tracciato tra il porto e la stazione Brignole.
La terza incursione si registra nella notte tra il 6 e il 7 novembre, ma è quella della notte successiva a riportare a Genova un primato, quello del bombardamento più pesante subito da una città italiana dall’inizio della guerra (primato superato pochi giorni dopo dall’incursione su Torino). E poi ancora il quinto bombardamento a tappeto tra il 13 e il 14 novembre, seguito dal sesto la notte successiva. In quei venti giorni vengono distrutti più di mille edifici, con meno di cinquecento vittime (tragedia delle Grazie a parte) per la presenza di numerose gallerie.
I bombardamenti a tappeto, oltre a obiettivi militari, hanno lo scopo di fiaccare la resistenza della popolazione, per invitarla alla ribellione contro chi sta continuando la guerra e l’ultimo raid di questo tipo si registra nella notte tra il 7 e l’8 agosto 1943, dopo la caduta del fascismo (25 luglio): da ora in avanti i bombardieri alleati punteranno il mirino soprattutto contro le infrastrutture industriali. Nelle stesse fabbriche intanto è sempre più forte l’opposizione al regime, che fatica a contrastare proteste e scioperi, mentre molti operai scelgono la via della lotta armata, entrando a far parte della Resistenza.
La scarsa precisione delle tecniche di bombardamento continua comunque a fare centinaia di vittime tra i civili del centro abitato. Complessivamente, i bombardamenti aerei fanno più di duemila vittime tra i civili negli oltre undicimila edifici danneggiati dalle bombe, mentre il patrimonio artistico subisce danni incalcolabili, con settanta chiese e centotrenta edifici storici colpiti. Come se non bastasse, i tedeschi decidono che, se saranno costretti alla ritirata, faranno saltare in aria il porto: per questo fanno saltare tratti della diga foranea, mettono fuori uso i bacini di carenaggio e sistemano centinaia di mine nel porto, dove affondano centinaia di imbarcazioni per renderlo inagibile. Solo l’accordo raggiunto in extremis con la storica resa di Villa Migone, dove il generale tedesco Meinhold cede al diktat dei partigiani, impedisce che la città subisca danni ancora più gravi.